INTER, JULIO CESAR PASSATO MORATTI MOURINHO / MILANO – Sette lunghi anni, tante vittorie poche sconfitte. Da un giorno all’altro, o quasi, l’addio. E’ il destino di tutti i calciatori, dal più grande al più scarso. Questa è la storia di Julio Cesar, costretto per questioni anagrafiche, fisiche ed economiche ad abbandonare l’Inter in una calda giornata d’agosto. A Londra (nel Qpr, ndr) sta vivendo ora una nuova avventura, che mai e poi mai si potrà equiparare a quella nerazzurra. E’ per questo che il portiere brasiliano vive il distacco ancora con l’amaro in bocca. Perché avrebbe voluto miglior trattamento, più rispetto. Adesso ascoltiamo, anzi leggiamo la sua versione, ma per conoscere la realtà bisognerebbe sentire le due campane: “Sicuramente non mi è piaciuto il comportamento della società, sono stato trattato come l’ultimo dei portieri, come un bidone – ha dichiarato a ‘Undici’, programma delle reti ‘Mediaset’ – Devo dire che dopo mi son chiarito col presidente Moratti, ora è tutto sistemato”.
TRA PASSATO E PRESENTE– Non è stato facile il suo saluto, tantomeno il suo approdo alla Pinetina. Oggi diremmo, che confusione! “Il primo anno in nerazzurro fu molto strano, la concorrenza con Toldo problematica, poi quando Mancini decise di puntare su di me il mio rapporto con Francesco diventò più solido, quasi fraterno“. Poi, finalmente, arrivarono i primi successi, anche se la convivenza con lo Special One, per sua stessa ammissione non fu la più rosea: “Nella prima stagione filò tutto liscio, andammo d’amore e d’accordo, mentre il secondo anno ci fu qualche screzio di troppo, la sua pressione su di me era tanta, direi eccessiva. Il Triplete spense i fuocherelli, che vittoria indimenticabile“. Dopo lo sguardo al passato si passa al presente. E alla super sfida contro la Juventus, un duello che il vecchio Julio rigiocherebbe anche subito: “Io la Juve la odio – ha sorriso l’ex portiere dell’Inter – Ogni volta che la incrociavo ero convinto di vincere, poi puntualmente ci battevano loro…”. I tifosi interisti incrociano le dita.
Raffaele Amato
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