INTER, DOVE SEI? / MILANO – Al fischio finale, un frastuono di gente inviperita ha ciurlato e inveito contro l’arbitro Giacomelli, giudicato ancor prima di un processo mediatico e moviolistico come l’unico insindacabile colpevole della mancata vittoria contro il Cagliari. Il fallo di Astori su Ranocchia è netto, il piede del difensore nerazzurro non viene esageratamente toccato, ma in tal caso è la gamba del centrale sardo a speronare quella dell’interista, in equilibrio precario perché in torsione, sicuramente avrebbe dribblato il suo avversario e poi concluso in porta. Chi pensa o dice il contrario è chiaramente in malafede, non nebbioso il riferimento a qualche presunto opinionista con la maglia a strisce bianconere sotto la classica giacca cerimoniale.
In malafede anche chi pensa che l’Inter non abbia vinto la partita solo per colpa di un arbitraggio nefasto, speriamo solo per incapacità tecnica e visiva non per qualche strano e occulto sistema, se fosse così meglio chiudere bottega e dedicarsi ad altro; la squadra nerazzurra, per addentrarci nelle questioni calcistiche, ha spento la luce dopo il mirabolante e inatteso successo di Torino contro l’allora imbattibile Juventus. Fino a quel punto, Stramaccioni e i suoi avevano vinto in cavalleria le gare precedenti, mostrando agli avversari una solidità difensiva, tattica e di singolo reparto, un carattere mai domo, pronto sempre a ripartire, rincorrere o dominare a seconda delle situazioni. Quell’Inter ora è sparita, non c’è più.
A Bergamo il primo campanello di allarme, contro l’Atalanta, che ieri ha preso quattro schiaffi dall’entusiasmante Fiorentina, i primi segnali di un cedimento mentale, di una spossatezza psicologica che si è miscelata con piacere a un’eccessiva esaltazione, portando ogni singolo calciatore a gettare anticipatamente la spugna, quasi a voler dire ‘ho vinto contro la Juve, ora nessuno potrà battermi’. Stramaccioni ha costruito un gruppo non sulla presunzione, ma sull’umiltà e il sacrificio, quel sacrificio che gli ha permesso di schierare le tre punte in momenti particolari, e forse inappropriati, di osare oltre i limiti. Una volta sparite intensità e abnegazione, tutto è tornato come prima. Gol a ripetizione, soprattutto degli avversari (5 negli ultimi 2 incontri), offerte caritatevoli di un’infinità di contropiedi, errori dei singoli madornali, ultimo quello di Juan Jesus sul primo gol di Sau: l’attaccante rossoblu è andato a sinistra, incontro al pallone, il difensore, inspiegabilmente a destra, distratto magari da qualche bella signorina comodamente seduta nei distinti; oppure gli assurdi strafalcioni di Ranocchia e Gargano, ieri l’uruguaiano non ha indovinato un passaggio, peggio ancora le numerose palle lunghe verso Milito, già di par suo in giornata tremenda.
Il registro deve necessariamente cambiare, gli errori arbitrali sono palesi, ma un’Inter diversa, anzi, uguale a quella vista fino a Torino avrebbe superato con minor difficoltà il Cagliari, identico ragionamento per l’Atalanta. Avrebbe dribblato con il potere tecnico e mentale, intrinseco a una grande squadra, ogni avversità, ogni malefatta degli ‘uomini neri’, chiamati semplicemente, spesso senza merito, arbitri.
Raffaele Amato
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