INTER DERBY D’ITALIA POLEMICHE JUVENTUS ARBITRI/ MILANO – Torino e Milano da sempre si scambiano sberla, calci, metaforici e non, e insulti. Prima che esplose lo scandalo calciopoli, durante lo stesso e soprattutto dopo, le polemiche fra Inter e Juventus sono sfociate in volgarità, dichiarazioni di poco stile e proclami accusatori sbattuti ai quattro venti. Tutto è ripartito, dopo solo qualche settimana di bandiera bianca, dalla nefasta sfida del 3 novembre allo ‘Stadium’. Gol di Vidal dopo pochissimi stanti, l’azione però è viziata da un fuorigioco di Asamoh, autore dell’assist; qualche minuto più tardi rete del pari annullata a Rodrigo Palacio, l’argentino al momento dell’inzuccata forse si trovava per qualche centimetro oltre la linea dei difensori; primo tempo ancora ricco di episodi, uno in particolare, quello di Lichtsteiner che, sempre sul nerazzurro con la treccina, catapulta la sua rabbia scivolando a gambe alte, rosso scontato non per l’arbitro che grazia a sorpresa il laterale svizzero.
Le opere al contrario dell’inadeguato Tagliavento non affettarono di netto le gambe dei calciatori nerazzurri, anzi. Di petto, perché fieri e convinti della propria bravura, riuscirono a infilare uno dietro l’altro tre gol: doppietta di Milito, ‘principe’ di Bernal e da quella notte governatore, per meriti sportivi, del Piemonte, e Palacio, che sigillò l’impresa dei ragazzi di Stramaccioni, condottiero perché conduce e dirige con una maestria non di questi tempi, potremmo soprannominarlo l’Annibale del ventunesimo secolo. Non un banale allenatore, come ce ne sono tanti in giro. Al termine della partita, le disquisizioni calcistiche lasciarono spazio alla giusta e corretta ira nerazzurra, incentivata, oltre che dagli episodi arbitrali, anche dalla scorrettezza del signor Marotta, prima lanciatore del sasso e poi abile, secondo un suo pensiero, a nascondere la mano: ‘spensierato‘, così si rivolse al tecnico interista, ascoltatore lontano ma non meno attento. Tanto che alle telecamere, pronte a far scatenare il putiferio, obiettò: “Ma come si è permesso, un po’ di rispetto per l’Inter”. Marotta contro Stramaccioni, terzultimo episodio della saga ‘Inter contro Juve’. A registrare il penultimo ci han pensato qualche giorno più tardi, il tempo di scrivere il copione e di impararlo poi a memoria, Cassano e Conte, nell’ordine di chi ha cominciato e di chi ha concluso. “Alla Juve? Mai, li vogliono solo dei ‘soldatini‘: risponde l’allenatore bianconero: “Uno come lui non lo vorrei mai nella mia squadra, a noi non interessano i ‘quaquaraquà“; conclude il barese accigliato e scatenato: “Non può darmi lezioni, ricordiamoci che è stato squalificato per omessa denuncia“.
Se avessero il porto d’armi converrebbe tenersi lontani da questi personaggi. Ieri pomeriggio l’ultimo atto, seppur a distanza. A Torino hanno tutti la coda di paglia, a Milano stuzzicano, evidentemente la rabbia è talmente repressa che impedisce di ragionare. Altri errori, stavolta è toccato a Giacomelli inzuppare l’inzuppabile, sbagliando anche ciò che avrebbe visto un arbitro ai primi fischi. Tre indizi fanno una prova, tanti errori a proprio svantaggio sviliscono anche il re degli ottimisti, svaniscono, forse, anche le speranze scudetto dell’Inter, che si accendono e si spengono come le lampadine dei lampioni alla pineta formiana, a frequenza irregolare e fastidiosa. Il derby d’Italia non finisce oggi e non terminerà domani. E’ un pezzo di storia del nostro calcio, nel bene e nel male. Ci verrebbe da dire, “No comment”, ma la frase è ormai protetta da copyright.
Raffaele Amato
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