INTER ANALISI SCONFITTA PARMA / MILANO – Puff, sparita! Se qualcuno non se ne fosse accorto, l’Inter, quella furbastra e cinica, sta ancora festeggiando come una matta sul prato dello ‘Juventus Stadium’, dove qualche settimana fa ha magnificamente sbaragliato con tre polpette avvelenate la squadra bianconera del ‘quantosonobravo’ Antonio Conte. Nel frattempo, però, il campionato è andato avanti: al posto di alcuni calciatori nerazzurri, in allegria e con le braccia al cielo in quel di Torino, contro Atalanta, Cagliari e Parma (1-0, rete di Sansone), sono scesi in campo i loro rispettivi fratelli. Brutti, scarsi e sfaticati. A Bergamo, tre casoncelli e a casa; al ‘Meazza’ due pardule dai sardi, senza il digestivo del rigore, stranamente e incredibilmente non concesso dal miope arbitro; ieri, altra trasferta, stessa musica. Squadra sfilacciata, senza ordine e piglio. Abbandonate cattiveria agonistica e spirito di sacrificio, precaria condizione fisica e atletica di molti elementi, alcuni di essi smarriti. Juan Jesus non è stato in grado di vincere un duello con Biabiany, manco fosse il Garrincha di Svezia ’58. Ranocchia bravo nell’uscire palla al piede, un disastro nei duelli aerei, eppure è un ragazzone alto, mica un nano da giardino. Il gioco è stato sfilettato, spezzettato un po’ alla volta da Alvarez, generoso nel dribbling ma lento e impacciato nel servire i suoi compagni; l’argentino è un innamorato del pallone, lo tiene sempre troppo fra i piedi, converrebbe a lui e alla matassa di scalmanati, i suoi colleghi di maglia, affrettarsi nel tocco, uno-due massimo e via. Invece no, il contrario, Testa dura, come Guarin. Forte il suo tiro, su punizione è andato vicinissimo al gol, inconsistente e appariscente per buona parte del match, scostante il suo apporto, deve e può migliorare: ha i mezzi, non la volontà. Non in serata magica, nemmeno semplicemente positiva, Palacio e Milito, mal serviti in molti frangenti, spocchiosi però all’eccesso. Ha pesato, oltre il sospetto, l’assenza lì davanti di Cassano, l’unico del reparto offensivo che ha nel dna l’assist, il dribbling e quella innata capacità dell’ultimo passaggio alla punta: si sarebbe dovuto invertire la squalifica con Stramaccioni, meglio un fantasista in campo che un allenatore, seppur bravo, in panchina. Discorsi inutili, comunque. Seconda sconfitta nelle ultime tre gare, entrambe in trasferta, dove nei fasti di un tempo ristretto, in parole spicciole, fino a qualche settimana fa, l’Inter vinceva e convinceva. L’attacco a secco per la prima volta lontano da Milano, la seconda in quattordici partite di campionato. Qualcosa si è rotto, per non fare eccessivi drammi, inceppato dal successo contro la Juve: il calo fisico è abbastanza evidente, ancor prima quello mentale. I troppi infortuni incidono, stanno incidendo: una volta fu colpito il reparto difensivo, ora il centocampo. Che ha poca qualità e scarsa dinamicità. Le polemiche, anzi le autopolemiche non hanno aiutato l’ambiente: prima contro il sistema arbitrale – Moratti ha avuto le sue ragioni nel protestare, ma così facendo ha discolpato i calciatori, i primi responsabili delle prestazioni e dei risultati negativi – poi contro Sneijder, inspiegabilmente Branca, un non comunicatore, ha deciso di lavare i panni sporchi fuori dalla Pinetina, alzando un polverone mediatico biasimevole per la tranquillità del gruppo. Il danno è fatto, il dado è tratto. Niente drammi, comunque. Il campionato, o meglio la stagione è ancora lunga. La classifica è più che positiva, ci sarà tempo e modo per rialzarsi e ripartire col vigore di un mese fa.
Raffaele Amato