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Inter, gli orgogliosi e una squadra a immagine dell’allenatore

Inter-Juventus 1-2 (Getty Images)

INTER JUVENTUS 1-2 APPROFONDIMENTO/ MILANO – Il derby d’Italia suscita sempre grandi emozioni. Da qualunque spigolo del nostro cuore lo si veda, da qualsiasi spiffero della nostra anima: ogniqualvolta lascia il segno. Quello che si è giocato ieri pomeriggio allo stadio ‘Meazza’, finalmente pieno dopo tanto tempo, non verrà certo ricordato dagli almanacchi del giuoco del calcio come il più bello, né come il più ricco dal punto di vista del tasso tecnico dei giocatori scesi in campo. Da una parte i soli Pirlo e Buffon, autentici fuoriclasse italiani, dall’altra i ‘vecchietti’ dal passato, recente, assai illustre: Samuel su tutti, che rientrava dopo uno stop lungo tre mesi. Povero calcisticamente, prospero di agonismo, tanto bistrattato soprattutto in Italia, sebbene sia stato, e sia tuttora, uno dei cavalli di battaglia dello sport nostrano, al netto degli Arrigo Sacchi e dei suoi seguaci, cultori di un tatticismo eccessivo per nostra fortuna durato il tempo di qualche stagione.

La partita è terminata con la vittoria della compagine bianconera (1-2), ormai vicina al luccicante tricolore, il secondo negli ultimi due anni. I ragazzi di Antonio Conte, seppur con un leggero affanno nel secondo tempo, hanno controllato e gestito il match, trovando il successo grazie a una magia di Fabio Quagliarella, noto per le sue finalizzazioni spettacolari, coadiuvato dalla rigidità dei difensori interisti e dall’alto tasso dormiente dello spaesato Ranocchia, a cui servirebbe, per felicità sua, una sana lavata di testa. Il centrale umbro, penalizzato in questi anni da travagliati e pesanti infortuni, che hanno indubbiamente tagliato a fette le sue promettenti doti, ha peccato di accidiosità anche nel gol che ha permesso agli juventini di ripassare in vantaggio – con la collaborazione di Chivu – grazie all’imbucata da perfetto opportunista di Matri, gregario di un reparto offensivo completo e variopinto.

Fredy Guarin (Getty Images)

L’ingresso di Guarin, lasciato forse incolpevolmente in panchina, per uno spento e fuori luogo Alvarez, ha riaccesso un po’ gli animi della ‘Beneamata’, mai convincente sotto il piano dell’organizzazione, con Mateo Kovacic – predicator nel deserto – costretto a cambiare spesso posizione per ricever palla e far ripartire la manovra: il colombiano, invece, si è afflosciato quasi subito, anche se solo la sua presenza sulla fascia destra ha costretto Asamoah (e Peluso nella ripresa) – già in serata no – a restare basso in copertura, oltre che Pogba, entrato a match inoltrato, a raddoppiare la marcatura.

Non è stato uno strapotere bianconero, ma una prova netta di superiorità sì, intervallata comunque dall’orgoglio mai domo dei guerriglieri nerazzurri: alcuni logori, altri inadatti, però all’unisono hanno dato il massimo in una gara che, complice la classifica, era l’ultimo giro di boa per le ambizioni Champions League. Palacio ha illuso, giusto pochi minuti, il folto pubblico interista, speranzoso fino al fischio finale dell’arbitro Rizzoli, che non ha giudicato falloso l’intervento in area di rigore di Chellini su Cassano: FantAntonio è stato scalciato dal centrale nasone, esagerando, però, nel volo plastico a terra, come se dalla tribuna un cecchino lo avesse preso in pieno. Il fischietto ingellato e dotato di una sfarzosa compostezza ha forse negato il tiro degli undici metri a Vidal, atterrato, le immagini non chiariscono abbastanza, da un’uscita abbastanza estroversa di Handanovic.

Andrea Stramaccioni e Antonio Conte ('Ansa.it')

La differenza tra le due squadre sta nei progetti: la ‘Vecchia Signora’ dopo le due negative stagioni, a dire il vero fallimentari – il secondo anno di Ranieri, e il successivo sotto la gestione di Ferrara e Zaccheroni – ha pressappoco azzerato la rosa. Mandando via i rami secchi, ovvero i giocatori spremuti da mille avventure e quelli non adatti ad ambiziosi obiettivi, acquistando elementi funzionali al credo dell’allenatore, a immagine e somiglianza, non tutti, di Antonio Conte, principale artefice del nuovo ciclo juventino; capace di imporsi su una società che non è certo superiore, per competenze soprattutto, alla tanto bistrattata del biscione. Stramaccioni, dalla sua la giovane età e la totale mancanza di esperienza a grandi e bassi livelli, ha agito all’opposto dello scapigliato pugliese: avallando fin troppo le scelte del club, dal caso Sneijder all’acquisto di Rocchi, passando per la cessione a gennaio di Livaja, ponendo con notevole fretta idee e convinzioni nello scantinato della Pinetina. Per lui, così come per l’Inter, non resta altro che concludere più dignitosamente possibile la stagione. O terzi o niente, il pensiero spifferato ai quattro venti dai protagonisti della Pinetina. Una Coppa Italia non farebbe lacrimare gli interisti, tutt’altro: vale il contrario, meglio qualcosa che zero titoli. Poi a maggio il cambiamento, ma stavolta per davvero.

 

Raffaele Amato

 

 

Raffaele Amato

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