INTER VIVAI ITALIANI STRANIERI / MILANO – Laxalt e Botta la prossima estate. Alvarez e Jonathan nel recente passato. Possibile che una società blasonata come l’Inter non riesca a ‘produrre’ e ‘valorizzare’ giovani migliori dei giocatori appena elencati? Altra spontanea domanda: allora, a cosa serve realmente il settore giovanile? Probabilmente a racimolare qualche soldo per il mercato in entrata, oppure per far propaganda dei propri ‘tesori’ nei momenti in cui la prima squadra arranca nelle massime competizioni. Un modo semplice per far passare un messaggio sbagliato: ‘non vince la squadra maggiore, ma in confronto guarda quanti titoli è riuscita a mettere in bacheca la Primavera’.
FASCINO PELLEGRINO – In casa Inter è sempre stata data precedenza allo straniero, il riferimento ovviamente è allo straniero ‘brocco’. Lecito acquistare campioni argentini brasiliani o persino scandinavi: se aiutano a vincere, tanto vale portarseli a casa. Il problema è un altro: ovvero tesserare giocatori mediocri solo perché hanno il fascino del ‘forestiero’, tanto meglio se oriundo. Così, poi, nella rosa di Stramaccioni è possibile trovare elementi pagati fior di milioni che probabilmente se fossero rimasti a casa loro nessun danno sarebbe stato arrecato alla povera ‘Beneamata’. Non ci nascondiamo, facciamo i nomi: Belec, Carrizo e Silvestre, un bel terzetto a cui aggiungere quelli citati all’inizio. Quattro-cinque ‘normali‘ che, non venendo acquistati, avrebbero fatto risparmiare un bel po’ di dané a Massimo Moratti: più di 20 milioni di euro, conti alla mano (senza contare gli ingaggi). Con cui si sarebbe potuto acquistare un ottimo calciatore, in grado sì di fare la differenza.
PROBLEMA ITALIANO – L’Inter non è la sola (poco più di 2 milioni investe annualmente nella ‘cantera’: pochissimi). Non valorizzare i prospetti del proprio vivaio è un problema tutto italiano. Secondo uno studio approfondito effettuato dalla Fifa, il nostro campionato – su 31 analizzati – è all’ultimo posto per l’utilizzo in prima squadra dei ragazzi provenienti dal settore giovanile. Solo il 7,8 per cento dei giovani ‘tricolore’ cresciuti nei vivai esordiscono nella squadra ‘principe’ del club. Barcellona e Bayern Monaco pensano e lavorano all’opposto delle società made in Italy, e risultati sono sotto gli occhi di tutti. L’ideale sarebbe un mix tra talenti ‘nostrani’ più tre-quattro campioni che possano colmare con classe ed esperienza le ovvie (ma superabili) lacune degli sbarbatelli.
Raffaele Amato