INTER ZANETTI INFORTUNIO RACCONTO / MILANO – La brutta notizia ha fatto il giro del mondo. Javier Zanetti è famoso in ogni angolo calcistico perché immenso campione sul rettangolo di gioco, oltre che uno straordinario uomo, esempio per adolescenti e per ragazzi grandi e vaccinati, appassionati e non dello sport più bello del mondo. Il grave infortunio che ha stravolto gli ultimi battiti della sua leggendaria carriera lo costringerà, suo malgrado, a guardare gli altri rincorrere un pallone o un avversario per otto mesi, che saranno tremendamente lunghi per un professionista come lui, sempre ligio al dovere e pronto a dare anche una goccia di sudore in più per la maglia nerazzurra, a cui è legato da profondo amore da quasi vent’anni. Anche in Inghilterra è stato ‘celebrato’ il capitano dell’Inter. Tra aneddoti, racconti di vita, la sua, davvero unica che parte da povertà e fatica fino a raggiungere, dopo anni di sacrificio, il desiderato successo, che non ha cambiato di una virgola la sua etica e la sua integrità morale, rimasta in tutti questi anni una luce accecante nel corrotto e immorale mondo pallonaro.
“Javier Zanetti non ha mai avuto paura delle sfide – scrive il ‘Guardian’ -. All’età di 15 anni, l’Independiente decise di non puntare su quel ragazzo troppo gracile fisicamente per aspirare a diventare un giorno un calciatore professionista. Javier non si abbattè, anzi. Si rimboccò presto le maniche, trovando un posto di lavoro in grado di intervenire in maniera forte sul suo esile fisico: si mise a consegnare latte ai supermercati assieme a suo cugino Carlo. La sua giornata lavorativa iniziava prestissimo, alle 4 del mattino: col tempo i suoi muscoli si ingigantirono, la sua tempra divenne d’acciaio. Tanta fiducia e stima in se stesseo accrebbe in lui, tali da riuscire a combinare lavoro con gli allenamenti nel suo nuovo club, il Talleres (società argentina con sede nella città di Remedios de Escalada, area metropolitana della capitale Buenos Aires).
Terminato il primo periodo formativo, il piccolo grande Javier, più forte fisicamente e mentalmente dopo la gavetta lavorativa, cominciò, nel tempo libero, ad aiutare suo padre, muratore ‘vecchio stampo’, nella costruzione di muri. Nel contempo, la sua attività da ‘consegnatore di latte’ proseguì incessantemente, anche perché il Talleres non aveva fondi a sufficienza per garantire uno stipendio accettabile al futuro capitano dell’Inter, maturo più del dovuto e aspettato fin da ragazzino.
Nel 1995, il passaggio all’Inter di Massimo Moratti, innamoratosi e ipnotizzatosi dei suoi innumerevoli dribbling nell’istante in cui vide nello schermo del suo televisore alcuni dvd che ritraevano il giovane argentino nei ‘Giochi Panamericani’. ‘Alla prima seduta di allenamento – disse Beppe Bergomi -, durante lo svolgimento di un classico esercizio di possesso, non perse mai il pallone, il quale rimase sempre incollato ai suoi piedi. Quel giorno capii – ricorda lo ‘Zio’ -, che quel ragazzo venuto dall’Argentina sarebbe entrato nella storia del calcio‘.
“Un devoto cattolico e un fiero argentino – è il giocatore con maggior presenze nella nazionale albiceleste (145) -: l’incontro con Papa Francesco, avvenuto alcuni giorni fa, coincideva con l’allenamento mattutino della squadra interista. Javier, anziché chiedere l’esonero dalla seduta, ottenne di allenarsi individualmente di mattina presto, cosicché da poter di prendere il volo destinazione Roma, per l’incontro con il Pontefice, suo connazionale”. Umile e lavoratore, sempre e comunque. Modesto e con lo stesso taglio di capelli di sempre. Capitano unico, una delle ultime vere Bandiere rimaste nel calcio mondiale.
Raffaele Amato