INTER MORATTI THOHIR / MILANO – Massimo Moratti è sempre stato abituato a comandare. A decidere, nel bene o nel male, le sorti dell’Inter, considerata da lui e corte – non solo per ragioni di cuore – un autentico bene di famiglia. Ma la crisi economica che negli ultimi anni ha colpito anche la Saras, azienda dove il petroliere è di casa assieme a suo fratello Gianmarco, si è ripercossa pesantemente sul tanto amato club nerazzurro, costretto anche a causa di una scellerata gestione finanziaria e sportiva, a staccarsi dal gruppo di testa del calcio italiano: da quello internazionale è distante anni luce. Per questi motivi, e perché spinto da alcuni membri della sua famiglia a cedere il passo, onde evitare di intaccare ulteriormente il patrimonio personale, sulla stregua del fu Sensi, da un anno o poco più ha affidato alla Banca Lazard la ricerca di potenziali nuovi investitori in grado di aiutarlo a tenere competitiva la squadra dal punto di vista sportivo; dando, soprattutto, nuovi impulsi in termini di liquidità all’economia del club, che sotto il suo impero ha sempre fatto piangere: facendo debiti, come tutti i mecenati, è però riuscito a vincere.
Sembrava che una soluzione si fosse trovata grazie all’avvento dei cinesi, rivelatisi dopo pochi giorni dall’annuncio ufficiale veri e propri fuochi di paglia. Dopo tribolanti mesi, tra il ‘closing’ mai arrivato e i pessimi risultati degli Stramaccioni boys, ecco spuntare l’indonesiano Erick Thohir, intenzionato, secondo quanto si legge e si sente in giro ad acquistare almeno la maggioranza della società. Moratti, però, sotto quest’aspetto non vuol sentirci: vendere l’Inter sarebbe uno smacco incredibile, anzi, come lui stesso ha detto “un k.o.”. Questa ‘posizione’ del petroliere (che tra l’altro ha abbandonato il super decantato progetto nuovo stadio), certamente discutibile, rende complicata se non impossibile la definizione della presunta e ambigua trattativa col magnate asiatico: che, da navigato uomo d’affari, sa benissimo quanto sarebbe inutile, oltre che economicamente svantaggioso, entrare come azionista di minoranza – mettendo soldi ma senza avere alcun potere decisionale – in una azienda sportiva non quotata in borsa, perennemente in passivo di bilancio e per giunta con un’esposizione debitoria di circa 300 milioni di euro (al netto dei crediti). Insomma, o tutta l’Inter o niente.
Acquistando per intero la ‘Beneamata’, Thohir avrebbe modo, anche se ci vorranno anni prima di un eventuale assestamento, di rimettere in ordine il club, il quale solo con una gestione oculata e più competente – nonché libera da lacché e cortigiani, o da giocatori-dirigenti – potrebbe finalmente generare utili e profitti, a vantaggio dello stesso magnate e della società (indonesiano sì, ma fesso no): poi, se vorrà, ma non sarebbe certo obbligato, una buona parte dei guadagni potranno essere reinvestiti per rafforzare l’Inter, soprattutto ma non solo dal punto di vista sportivo. La convivenza di Thohir e Moratti sarebbe impossibile – ce li vedete voi Berlusconi e Abramovich all’interno della stessa azienda? -, perché entrambi non amano e non potranno mai dividere la torta nerazzurra con nessuno.
Raffaele Amato
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