INTER ETO’O / MILANO – Correre come un nero per guadagnare come un bianco. Questo il motto, enunciato da lui stesso, che ha accompagnato Eto’o in tutta la sua carriera. Motto che ha poi trovato piena concretezza, visti gli splendidi successi e gli immensi guadagni accumulati dall’attaccante camerunense in questi anni. Madrid, Maiorca, Barcellona, di mezzo il famoso e grottesco viaggio a Tashkent per firmare un contratto da 40 milioni di dollari con il Kuruvchi, club della capitale dell’Uzbekistan – a dimostrazione che a lui, come alla maggior parte dei professionisti di qualunque sport, poco importa di città e squadra in cui giocare, contano solo i soldi -, fino al passaggio all’Inter, nell’ambito del mega affare con i blaugrana messo a segno da Moratti, 50 milioni più l’africano per il costipato Ibrahimovic, con la quale ha poi vinto l’impossibile, in particolare la tanto attesa Champions League, in un anno, a causa anche di uno stato fisico almeno inizialmente poco brillante, nel quale si è persino sacrificato ai dettami tattici di José Mourinho, giocando per quasi l’intera stagione nel ruolo di attaccante esterno nel 4-2-1-3 e nel conclusivo 4-2-3-1.
Nell’estate 2011, dopo aver fiutato le debolezze economiche del petroliere, tramite il suo agente Vigorelli e l’intermediario Tirri, ha presentato sul tavolo di Ghelfi un’offerta principesca, per il suo conto in banca soprattutto, da parte dell’Anzhi, club di basso profilo ma pieno zeppo di rubli: circa 20 milioni per il suo cartellino, altrettanti, almeno per il primo dei tre anni di contratto. L’esilio dorato è stato un fallimento dal punto di vista sportivo, eccezion fatta per qualche buona apparizione, sua e dei suoi compagni, in Europa League, in alcun modo senza destare grossi grattacapi alle formazioni avversarie. Adesso, dopo la netta e chiara dipartita di Kerimov, per motivi economici e di salute si è stufato di sbrodolarsi per una squadra di calcio, evidentemente non più utile a far business in altri campi come qualche stagione fa – il budget per la prossima stagione è sceso a 50 milioni di euro -, ha dato mandato al suo agente di trovare fra i top club europei una destinazione in grado di accoglierlo sulla porta di casa con tanto affetto e, anzitutto, con molti piccioli.
Il Chelsea, la candidata più credibile, si è spinto fino a 5 milioni netti per i prossimi dieci mesi – il primo obiettivo di Mourinho è Rooney – mentre l’Inter, che sogna il colpaccio, teoricamente vorrebbe e potrebbe proporre un biennale a 4 milioni. Ma se il motto di Eto’o, da sempre, è stato “correre come un nero per guadagnare come un bianco”, perché mai adesso, a 32 anni, dovrebbe cambiare ‘religione’ professionale? Balle colossali sulle ragioni di cuore del tipo “ama l’Inter, per lei si abbasserebbe (di oltre la metà?) lo stipendio” e così via; doppia balla sui presunti motivi famigliari: moglie e figli vivono a Milano, ma per due anni è stato lontano chilometri e chilometri, Milano-Londra tenuto conto del precedente sarebbe una distanza ridicola. In realtà, solo Kerimov potrebbe trasformare l’impossibile in possibile.
Semplicissimo, o quasi: facendo un rapido calcolo, tenendo in considerazione le due mensilità corrisposte già ad Eto’o dal magnate russo (luglio-agosto, circa 1 milione e 750.000 euro: il suo guadagno presente è di 10,5 milioni) e i presunti 4 milioni proposti da Moratti – per un totale di 5 milioni e 750.000 euro – basterebbe il versamento di una buonuscita (soggetta a un inferiore e diverso trattamento fiscale) nelle tasche dell’africano di, più o meno, 4,75 milioni di euro. In tal modo, Eto’o non perderebbe un soldo del suo attuale compenso di questa stagione – l’ultima secondo contratto con la società di Machackala –, potendo accettare un contratto più basso dall’Inter: con questo matrimonio gli interisti (incluso Mazzarri) farebbero un salto di gioia, e la squadra farebbe un enorme salto di qualità, sia sotto l’aspetto del morale sia per quanto concerne il livello tecnico e di personalità dell’intera rosa nerazzurra. Altri modi ci sfuggono, a meno che non si voglia credere all’asino che vola.
Raffaele Amato