INTER KOVACIC MAZZARRI / MILANO – Dal ‘caso’ Campagnaro, il difensore non cambiera idea accettando la convocazione del c.t. Sabella per le due gare amichevoli di metà novembre contro Ecuador e Bosnia, alla tristezza di Mateo Kovacic. In casa Inter c’è sempre da discutere, da parlare, non ci si annoia mai.
Il centrocampista croato, secondo il ‘Tuttosport’, è giù di morale per la flebile considerazione nei suoi riguardi da parte del tecnico Mazzarri – tanto da farlo presente al suo procuratore, il quale a sua volta avrebbe chiesto chiarimenti alla dirigenza -, che in verità l’ha fin qui impiegato 10 volte, ma in sole quattro occasioni dal primo minuto: a Catania, dove poi è uscito per problemi fisici e perché nei primi quarantacinque minuti la squadra aveva sofferto nella sua zona di competenza; a Trieste contro il Cagliari, dove giocò per tutti i novanta minuti; contro il Torino, poi sostituito al 7′ causa espulsione del portiere Handanovic.
E infine nel match casalingo col Verona, da trequartista alle spalle di Palacio, in una zona del campo in cui fino a un anno fa agiva Sneijder (“Mateo ha giocato in una posizione nuova, anche se deve stare attento su alcuni particolari, lui come altri a un certo punto della partita si è troppo specchiato“, Mazzarri dixit a fine gara). Contro l’Udinese, Kovacic si è riaccomodato in panchina, mentre i suoi compagni ne rifilavano tre senza appello ai bianconeri di Guidolin.
Questa alternanza e manca di fiducia totale, nasce da lontano: il giovane croato, sbarcato in nerazzurro nel gennaio scorso per 14,5 milioni di euro, nei primi giorni del ritiro di Pinzolo subì uno stiramento che indubbiamente gli impedì di effettuare la preparazione atletica pre-campionato, agli ordini di Pondrelli, e di entrare nelle alchimie filosofiche e tattiche di Mazzarri, che ha una visione del calcio molto rigida, schematizzata, la quale ha i suoi lati positivi e i suoi lati negativi.
Quindi a singhiozzo si è dovuto presentare ai nastri di partenza della serie A, partendo assai dietro nelle gerarchie del tecnico, il quale non ha certo preclusioni e pregiudizi nei suoi confronti, ma perlopiù necessità. Mazzarri, come spiegò lui stesso nella prima conferenza da allenatore dell’Inter, deve anzitutto “fare risultati, riportare il più presto possibile la squadra a competere per obiettivi importanti”.
Tradotto: non può ‘aspettare‘ alcun giocatore, né fare eccessivi e deleteri esperimenti, con il forte rischio di lasciare punti a casa. Adesso si fida di altri, più di Guarin, schierato a Udine vicino a Palacio. O dello stesso Taider, il quale è più determinato e continuo nella fase di interdizione. In mezzo, per giunta, Mazzarri non lascerà mai fuori Cambiasso, che corrisponde un po’ alla sua seconda anima. Quella che va in campo.
L’allenatore, sotto questo aspetto, ha tutte le ragioni del caso: prima viene il cosiddetto bene della squadra, poi quello del singolo. Ma allargando la visione dell’insieme, lo stesso Mazzarri ha il compito di valorizzare il ‘meglio’ che ha in rosa, di mettere nelle condizioni migliori un suo calciatore, che è patrimonio tecnico ed economico della società. Come? Anche cambiando modulo, intaccando il meno possibile l’equilibrio, ora non propriamente perfetto, della squadra.
Raffaele Amato