INTER RECOBA / MILANO – Ha ragione chi dice che “con i sé e i ma” non si va da nessuna parte, però per Alvaro Recoba è giusto fare una eccezione. Che giocatore sarebbe potuto essere, oltre quello che è stato, se alla sua grande tecnica e il suo unico stile l’uruguagio avesse abbinato anche personalità e una maggiore professionalità? Forse, anche senza il forse, uno dei più grandi fuoriclasse del duemila. El Chino, ovviamente soprannominato così per i tratti somatici del suo volto assai simili a quelli degli orientali, è stato il principale rappresentante dell’Era Moratti (non a caso suo folle innamorato) pre-Calciopoli, quella dei sogni non realizzati, dello scudetto accarezzato, quella delle illusioni e del potrei ma non riesco, probabilmente se non certamente anche per contingenze e situazioni che andavano ben oltre la legalità sportiva. Andato via dall’Inter nel 2007, all’età di 32 anni (ultimo gol contro l’Empoli da calcio d’angolo) e dopo il secondo scudetto – vinto sul campo; il primo a tavolino l’ha sempre rinnegato -, accantonando le infelici esperienze con Torino, coi greci del Panionios e il Danubio, il genio uruguagio ha trovato la sua collocazione ideale e fatto le fortune al Nacional di Montevideo (club dove si affermò prima del salto a Milano, città dove è nato il 17 marzo del 1976), con le sue magie e nelle vesti di trascinatore portato alla conquista di un titolo nazionale (nel 2012) e due campionati d’Apertura: il primo tre anni fa, il secondo appena ieri, a 38 anni suonati, con l’assist per il gol vittoria di Arismendi. La sensazione è che la maggior parte di noi abbia saputo davvero apprezzarlo (il destino dei geni) solo a posteriori, a fine carriera e quando ormai lontano dai grandi riflettori del cosiddetto calcio che conta.
Raffaele Amato
@RaffaeleAmato9