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Moratti: “Inter? Non decido più nulla. Però sulle sponsorizzazioni…”

Massimo Moratti

INTER MORATTI INTERVISTA/MILANO – Nonostante, da novembre 2013 non sia più presidente dell’Inter e successivamente abbia lasciato anche la carica di presidente onorario, rimane sempre un punto di riferimento per la società nerazzurra e per i mass media. Dalla Francia, l’Equipe, ha inviato una  giornalista a intervistare Massimo Moratti, per chiedergli un  parere sulla situazione che sta vivendo dopo aver lasciato la presidenza del club del suo cuore e anche sulla situazione della squadra e della società, che per 20 anni è stata la sua seconda casa. Queste le parole dell’ex patron nerazzurro.

La prima domanda, riguarda il motivo per cui 20 anni fa decise di investire sul calcio e lui risponde: “Mi sono impegnato per passione, è questa l’unica ragione per la quale si deve investire nel calcio. Se lo si fa solo per fare soldi, allora è meglio evitare. Per contrappasso, chi vuole perderci può anche entrare”.Gli domandano, come mai ha deciso di lasciare e lui dice: “Era la cosa da fare dopo tutti questi anni. Pensavo di restare per molto meno tempo, ma, dopo dieci anni, ho cominciato a vincere, e allora era diventato più duro lasciare. Mi sono lasciato tentare da qualche anno in più. Ma per un’impresa è un bene, a un certo punto, cambiare uomini e visione delle cose. Allora abbiamo cercato degli investitori”. Gli chiedono, se lo ha fatto perché era stanco di mettere soldi ogni anno e lui spiega: “Un po’ sì, evidentemente. Ma mi ero abituato. Speravo sempre che i debiti diminuissero ma non succedeva mai”. Gli domandano se prende ancora decisioni e lui risponde: “No. Sono tutti sempre molto gentili a chiedermi idee e consigli ma non decido più niente. Dopo, ci sono delle clausole che mi permettono di mettere il veto su certe questioni, come ad esempio le sponsorizzazioni di agenzie di scommesse, che non ho mai voluto. Di colpo, hanno fretta che me ne vada per poterlo fare”, e lo dice ridendo. Gli chiedono se l’Inter del Triplete sia ormai lontana e se quel modello economico sia diventato un’utopia giunta al termine e lui dichiara: “Era una situazione molto differente. Una sola persona che simboleggia le speranze, le gioie, la vita di un club.

Non eravamo l’unico club a funzionare così. Il calcio italiano ha vissuto grandi momenti di successo grazie a questo modello economico. Nel calcio, servono artisti, spettacolo, sogni, piacere. Quindi bisogna comunque spendere molto perché la base è fatta dai grandi campioni”. Gli domandano, se l’Inter e il Milan siano equiparabili e lui risponde: “Sì, anche se il Milan i suoi investimenti li fa attraverso una società. Ma era anche una persona che prendeva i soldi di questa società e li investiva nel club. La crisi ha peggiorato le cose, perché non si poteva essere più generosi e spendere come prima. E per un club abituato a spendere questo è un cambiamento radicale”. Gli chiedono, se tornando al passato crede di non aver saputo differenziare abbastanza le spese e lui spiega: “Non si deve credere che ci faceva piacere spendere così tanto. Ma c’è anche da considerare la realtà italiana; il merchandising, ad esempio, funziona a meraviglia in Inghilterra. In Italia ci sono sempre delle difficoltà per arrivare a quel livello, dove tutti vanno allo stadio con la maglietta della propria squadra addosso. Da un Paese all’altro, le abitudini del cliente cambiano. In Italia il merchandising ha difficoltà a svilupparsi”.

Gli domandano, se ha il rammarico di non aver insistito sulla formazione dei giocatori e lui risponde: “All’Inter abbiamo investito sulla formazione! Balotelli è un buon esempio. Ma il problema è soprattutto far giocare i giovani in prima squadra. O è un vero campione e gioca, oppure preferisci metterti al sicuro con un calciatore affermato e il giovane non gioca mai. Lo presti, va in giro, non torna più. Ci vuole disciplina per formare questi giocatori”. Un altro argomento di cui si parla spesso è lo stadio di proprietà e Moratti dice: “Legato alle decisioni del Paese. Si sono fatti stadi per Italia ’90 e sembravano nuovi. In Inghilterra invece hanno fatto stadi meno grandi ma più accoglienti. San Siro è uno stadio magnifico, ma non ha ancora il suo rendimento ottimale. Ed è molto grande. In uno stadio più piccolo, la gente ha paura di non trovare posto quindi si abbona per essere certa di poterlo frequentare”. L’ultima domanda è sulla fiducia che pone sul futuro del calcio milanese e lui risponde: “Ci vorrà tempo. Oggi, il calcio italiano va abbastanza male. Non sono disperato, ma per rivedere Milano tornare ad essere una piazza di vertice del calcio europeo, a mio avviso, ci vorranno anni, Oggi, c’è un distacco enorme da club come Manchester United, Bayern Monaco e Real Madrid”.

Luigi De-Stefani

 

 

Luigi De Stefani

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