INTER THOHIR MANCINI / MILANO – Quando Thohir disse in una intervista che per la sua Inter non avrebbe voluto un “one man show”, erano i giorni in cui circolava il nome di Leonardo come eventuale sostituto di Mazzarri o per un ruolo dirigenziale con delega al mercato. Ipotesi per fortuna rimaste tali. L’affarista indonesiano ha una visione molto “americana” del lavoro, e nel suo team non vuole stelle in grado di brillare di luce propria e quindi di offuscare la sua. Ma in questo, e menomale, non è un estremista alla Moratti, che affianco a sé ha sempre voluto dirigenti (anche allenatori e persino giornalisti) “yes-man” a lui riconoscenti a mo’ di lacché. In poco meno di un anno, invece, Thohir ha dato un taglio netto alla gestione paternalistica e famigliare della società, salvando almeno per ora solo il comparto sportivo, ingaggiando fior di manager con curricula invidiabili, peraltro introvabili in quasi se non tutte le società italiane, dove spesso in posizioni di prestigio figurano personaggi di grande ambiguità con alle spalle un fallimento dietro l’altro.
IL POST MAZZARRI – No a “one man show” sulla panchina e dietro una scrivania. Quindi il dopo-Mazzarri, scontato il suo esonero (era solo questione di tempo) fin dall’insediamento della nuova proprietà – Thohir e i suoi consiglieri non amavano e non hanno mai amato il tecnico toscano -, sarebbe dovuto essere un allenatore giovane (non troppo) ma esperto, e con un’idea di gioco moderno e vincente, ma soprattutto un uomo non in grado di prendersi tutto il palcoscenico, poco costoso e con pretese non eccessive, almeno all’inizio. Caratteristiche riscontrabili nei vari Frank de Boer (Ajax) e Martinez (Everton), un po’ meno in Sinisa Mihajlovic (Sampdoria). Ma proprio il serbo, nel frattempo tornato in rampa di lancio dopo alcune esperienze negative, fu alla fine scelto per raccogliere l’eredità del sanvincenzino: scelto direttamente da Ausilio perché capace di valorizzare il materiale umano a sua disposizione e perché profondo conoscitore dell’ambiente interista, che ha vissuto a trecentosessanta gradi sia da calciatore (a fine carriera) che da vice di Mancini.
PERCHE’ MANCINI – L’idea dell’Inter era quella di finire la stagione con Mazzarri, confermato e confermabile solo in caso di terzo posto, per poi intraprendere l’ennesima ricostruzione con Mihajlovic. Un’idea poi naufragata a causa dei negativi risultati e da un clima di ostilità – per larga parte ingiusto – nei confronti dell’ex Napoli, quella ostilità scoppiata in modo definitivo e plateale nel derby di fine stagione scorsa quando escluse dalla formazione titolare Javier Zanetti, all’ultima stracittadina prima di mettere la parola fine alla sua lunga e vincente carriera, e aumentata a dismisura alle prime difficoltà palesate dalla squadra nell’anno in corso. Ostilità che ha forzato un esonero che Thohir avrebbe voluto evitare soprattutto per questioni economiche. Via Mazzarri, le strade percorribili erano due: prendere un traghettatore o cominciare da subito un nuovo corso. L’indonesiano ha optato per la seconda, anche perché l’obiettivo Champions era – almeno come punti, solo 5 – ancora raggiungibile. Il problema è che questo nuovo corso non poteva iniziare con il prescelto Mihajlovic, ancora alla Samp, quindi ecco il nome a sorpresa, quello in grado di placare la rabbia dei tifosi (con i quali vanta un cospicuo credito viste le vittorie del passato) e riportare entusiasmo: Roberto Mancini. Ingaggiabile subito perché senza squadra (su consiglio di Bolingbroke, scavalcando Fassone e in particolare Ausilio), l’uomo copertina. Soprattutto il “one man show” costoso (più di Leonardo, giustamente…) e “demanding” (Fassone dixit) che Thohir – come l’esonero – avrebbe voluto evitare.
SERVE ALL’INTER – Seppur ‘costretto’ dalle circostanze, prendendo Mancini Thohir ha messo a segno il primo ‘grande colpo’ della sua Era (che sarà breve?). Bravo e fortunato, lo jesino è e potrebbe essere l’uomo giusto nel momento giusto. Sa scegliere i giocatori, costruire e amalgamare grandi squadre – secondo noi al Manchester City ha fatto un capolavoro – facendo spendere tanto ma il ‘necessario’ per vincere. Il primo obiettivo che dovrebbe avere un club come l’Inter. Poi Mancini non è solo un allenatore, ma un simil manager, uno capace di colmare vuoti societari e di tenere sempre alto il livello dell’entusiasmo (anche quando, come ora, ci sarebbe poco da stare allegri), certamente non ai livelli di un Mourinho, di convincere giocatori importanti a seguirlo (con meno successo, però, di quanto dicano i giornali) e con una ottima stampa al seguito, il che è un bene per sé stesso ma anche per l’Inter.
PUO’ ANDARSENE SE – Mancini ha un contratto con l’Inter fino al 30 giugno 2017, un contratto con clausole che potrebbero comunque consentirgli una via di fuga anticipata. Già presa dal Galatasaray sul finire della passata stagione, quandò salutò dopo aver capito che le ‘promesse’ fattegli mesi prima non sarebbero state mantenute. La storia potrebbe ripetersi anche all’Inter, che per l’anno calcistico che verrà si è con lui impegnata per un mercato ‘importante’ pur sapendo che l’Uefa avrebbe potuto e potrebbe sanzionarla causa Fair Play Finanziario costringendola a una campagna acquisti in parità economica con la campagna cessioni. Una ‘zavorra’ che limiterebbe l’operatività di Ausilio e i progetti del ‘Mancio’, che nelle ultime settimane sta facendo pressioni sulla società parlando di scudetto o ipotizzando acquisti super alla Yaya Touré. Senza dei quali, in mancanza anche della Champions League (raggiungibile solo conquistando l’Europa League), l’ambizioso Mancini potrebbe decidere di salutare. A maggior ragione se su di lui dovesse presentarsi una big europea pronta ad esaudire ogni suo desiderio.
Raffaele Amato