Cruz: “Ho dato tutto all’Inter e l’Inter mi ha ricambiato, è casa mia. Mourinho e Calciopoli…”

Julio Ricardo Cruz
Julio Ricardo Cruz

INTER CRUZ / BOLOGNA – Il ‘Guerin Sportivo’ in edicola questo mese riporta una lunghissima intervista a Julio Ricardo Cruz, indimenticato attaccante dell’Inter dal 2003 al 2009. Queste le parole del ‘Jardinero’: “Ora sono in politica ma non è detto che questa sia la mia ultima avventura. In futuro, chissà, potrei tornare per fare il dirigente o l’allenatore. Del resto dopo essermi ritirato ho già lavorato come scout di giovani talenti. Dove andrei a lavorare? Ho ancora un appartamento a Milano e Massimo Moratti tempo fa mi ha chiesto di ritornare all’Inter. Ci andrei anche di corsa, quella è casa mia”. Su Recoba, ancora protagonista nel Nacional, l’argentino ha aggiunto: “Il Chino è un mito oltreché un grande amico. All’Inter avrebbe potuto fare ancora di più, ma gli è mancato qualcuno che lo stimolasse nel modo giusto”.

Le partite che porto nel cuore? Noi attaccanti siamo giudicati per i gol, e fare gol è come innamorarsi. Mi è successo quando con l’Inter ho segnato al Milan appena entrato in campo: era l’11 marzo 2007 e vincemmo noi per 2-1. Ero appena entrato al posto di Crespo e dopo 11 secondi mi trovai davanti alla porta per calciare. Il grosso dell’azione lo fece Ibrahimovic, ma io ero lì e ho respinto in rete. Un’altra partita che ricordo con piacere fu quella in Champions League contro l’Arsenal. Avevamo un po’ di problemi e tutti criticavano Hector Cuper, ma vincemmo 3-0 con un mio gol in pallonetto a metà del primo tempo. Nel 2003 siamo anche riusciti a vincere il Derby d’Italia, e fu fantastico perché per tutta la settimana non si era parlato d’altro: Zaccheroni era appena arrivato e non vincevamo a Torino da più di 10 anni, ma con quella doppietta entrai subito nella storia dell’Inter. Era stupendo… non riuscivo a credere di essere io il protagonista. In totale, tra Inter, Bologna e Feyenoord, devo aver segnato alla Juventus almeno 12 volte”.

Dalla Juventus a Calciopoli il passo è breve: “Non posso dire che a quei tempi sapessi cosa stava facendo Moggi, ma tutti ci facevamo delle domande. Una volta, quando ero ancora al Bologna, vincevamo per 2-0 sulla Juventus ma negli ultimi 15′ in qualche modo pareggiarono e sfiorarono persino la vittoria. La parzialità degli arbitri era evidente, ma alla fine la verità salta sempre fuori e io penso che Calciopoli abbia fatto bene alla Serie A. I tifosi erano sfiduciati, avevano bisogno di ricominciare a credere nel calcio. Vincere i Mondiali 2006 poi ha aiutato tantissimo, è stato come curare una ferita”.

Panchina? Sì, all’inizio con Mancini è stato così. Del resto aveva a disposizione grandissimi giocatori: Adriano in uno stato di forma pazzesco, Crespo, Vieri, Ibrahimovic, Figo. Io ho sempre cercato di lavorare perché l’allenatore mi tenesse in considerazione, e ho sempre avuto ben chiaro che la squadra viene prima del giocatore: Mancini non lo ha mai detto in pubblico, ma nello spogliatoio ci diceva sempre che all’Inter c’erano troppi capitani e pochi soldati. Allora ho capito che io dovevo fare il soldato, dovevo completare l’azione, essere a disposizione. E alla fine non mi lasciavano più andare via, si è visto come è andata a finire: quello che giocava ero io. Quando ho chiesto la cessione, Moratti mi ha risposto: “No, tu sei fondamentale. Devi restare”.

I rapporti con Mourinho invece non sono mai stati idilliaci: “Non ho mai amato o odiato nessun allenatore. Per me il calcio era lavoro e io ho sempre cercato di viverlo in modo professionale. Mourinho è una persona strana, ma non voglio criticarlo: è un vincente, e per me chi vince ha sempre ragione. Posso dire che anche quando tra noi c’erano problemi, i tifosi e il presidente non mi hanno mai lasciato solo. Avevo sempre il loro appoggio. Non è colpa sua se me ne sono andato. Me lo chiese anche Moratti, che mi disse: “Guarda, Julio, che gli allenatori passano”. Il problema però non era quello. C’erano motivi personali, volevo provare una nuova sfida. Nel 2008 avevo vissuto un momento simile, ma credo sia stato il mio anno migliore: il Barcellona insisteva per comprarmi e avevo offerte persino dalla Russia. Io però volevo solo l’Inter. Il presidente mi disse che se volevo restare, per lui non sarebbe stato un problema economico. Gli risposi che non lo era neanche per me. Quando superi un certo livello, i soldi non fanno più tanta differenza”.

Io punto fisso della rinascita dell’Inter? Sono arrivato con Cuper, poi c’era Zaccheroni. Erano momenti difficili e non sembrava esserci speranza, a volte pensai di andare via. Con Mancini però cambiò tutto, vincevamo un trofeo dopo l’altro. Se mi guardo indietro, non ho dubbi: rifarei le stesse scelte. Ho dato tutto all’Inter, e l’Inter mi ha ricambiato. Con chi sono rimasto più amico? Con Luis Figo. Siamo sempre usciti insieme, eravamo compagni di stanza, ci sentiamo ancora molto spesso. Chi sceglierei come compagno di reparto ideale tra quelli con cui ho giocato? Ibrahimovic, anche se è alto come me. Con Signori al Bologna mi trovavo bene, ma con Ibra era ancora meglio: ci capivamo alla perfezione ed eravamo amici anche fuori dal campo, e questo ci aiutava tantissimo anche dentro il campo. C’è stato un anno in cui lui fece 22 gol e io 19, per dare un’idea di quanto funzionasse l’intesa”.

Alessandro Caltabiano

 

 

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