Le parole dell’amministratore delegato Giuseppe Marotta sul valore del calcio italiano nell’era contemporanea e il ruolo della sua Inter
In una stimolante cornice di dialogo creata in occasione dell’evento di celebrazione dei 130 anni de ‘Il Mattino’, l’amministratore delegato dell’Inter Giuseppe Marotta ha preso la parola assieme a De Laurentiis e Iervolino sul quantomai vibrante tema della competitività delle squadre italiane sia nel campionato nostrano che soprattutto sullo scenario internazionale.
“Quando eravamo la culla del calcio, molti campioni di fama mondiale venivano nel nostro campionato a concludere le loro carriere. Vedi Maradona. Oggi, al contrario, la Serie A è diventata un campionato di transizione, dove i calciatori arrivano per poi andar via. Gli esempi più lampanti sono quelli di Hakimi e Lukaku. C’è da porsi un quesito, capire il perché di questo fenomeno. Io ho tentato di darmi una risposta e credo che molto dipenda dalla nostra incapacità di adattarci al cambiamento. Le nostre società sembrano più società di intrattenimento, questo gap col passato si è venuto a creare perché mancano figure lungimiranti a presiedere quelle stesse realtà. Così si perde competitività”, apre con acuità Marotta.
Poi aggiunge: “L’Italia, fra l’altro, è l’unico paese in cui lo sport – in generale – non è inteso in termini sociali. A scuola, per esempio, lo sport non esiste. Da qui deriva il fatto che il calcio perde i suoi potenziali talenti, nessuno li identifica. C’è carenza di innovazione e formazione, non ci sono più gli allenatori di una volta”.
“La gestione di cui faccio parte in qualità di core businessman sta portando avanti un progetto iniziato qualche anno fa e che deve proseguire tenendo in considerazione non soltanto la sostenibilità finanziaria ma anche il livello di competitività. Noi vogliamo essere sempre tra le prime quattro che partecipano alla Champions League perché è da lì che arrivano entrate utili”, conclude Marotta.
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