Come Oaktree potrebbe trasformare l’Inter, cioè rompere un giocattolo che funziona
Di Hallowen non ce ne frega una beata mazza, ma ci dà lo spunto per questo pezzo-verità. La nostra, si intende. Se il tema della festa che anticipa ognissanti è la paura, allora quella che ci appartiene è la paura degli americani. Degli americani perlomeno nel calcio, con chiaro riferimento a Oaktree.
Abbiamo paura di Oaktree. Paura che possa trasformare in peggio l’Inter attuale, rompere quel giocattolo che sta funzionando da anni nonostante le enormi difficoltà finanziarie. Funzionando sul campo e fuori, vedi l’ormai raggiungimento dell’agognato pareggio di bilancio. Il tutto al netto della pessima figura a livello di immagine, e vedremo se il danno sarà solo a livello di immagine, a proposito dell’inchiesta ‘Doppia Curva’.
Avvisaglie di cambiamento, senza aver paura di scrivere ridimensionamento ce ne sono state già nello scorso calciomercato estivo. Il no a Hermoso, condivisibile, nonché ad altri profili a lui affini, rappresenta il manifesto del pensiero, dell’idea, della strategia del fondo californiano. Si potrebbe obbiettare che prima sono però arrivati i rinnovi ‘pesanti’ di Inzaghi, Barella e soprattutto Lautaro, ma sarebbe una visione parziale e comoda. Fumo per gli occhi dei tifosi, molto spesso gettato dai media mainstream e dai giornalisti di corte.
Appare del tutto chiaro che l’Inter di Marotta, quella che prende i parametri zero, molti dei quali non rivendibili e con ingaggi alti, sta per giungere agli sgoccioli. E questa cosa non può lasciare tranquilli. Il timore, la paura è che Oaktree possa americanizzare troppo il club – qualcosa in tal senso dovrebbe già accadere nel comparto commerciale, con l’ingresso di uomini fidati del fondo – svuotando la società di senso di appartenenza e di competenze calcistiche tangibili, togliendo figure chiave per la gestione quotidiana della squadra.
Questo è già accaduto altrove, ma anche a due passi: al Milan. Ogni volta che Cardinale apre bocca, ma l’inadeguato Ibrahimovic non è da meno, quasi ci piange il cuore manco fossimo tifosi milanisti. Una tristezza e una mediocrità che spaventano.
Se non si è capito, diffidiamo dagli americani nel calcio, anzi non li amiamo proprio – tranne rare eccezioni di esempi virtuosi, vedi l’Atalanta, con Pagliuca che ha intelligentemente lasciato ai Percassi la gestione sportiva e i risultati si vedono – perché non hanno empatia, che quasi sempre va a braccetto con la passione. Il calcio invece vive proprio di passione, oltre che di faziosità e odio per i rivali, in mancanza di queste cose può solo morire, mentre per tanti di loro è solo business, un asset come un altro dove a contare davvero è solo il bilancio.
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